La reazione alla crisi tardo-novembrina che ha scosso Dubai World, il cuore finanziario dell'emirato arabo, è stata uguale un po' a tutte le latitudini: sorpresa. Non se lo aspettavano le piazze affaristiche mondiali, né gli investitori occidentali, né tantomeno gli emiratini — brutta parola che sta per abitanti di Dubai — che infatti, proprio in quei giorni, reagivano alla notizia con un misto di indolenza e fastidio: continuando ad ammassarsi nei centri commerciali, correndo su e giù per l'intasatissima al-Ittihad Road nei loro suv neri o argento lucidissimi, indicando con un'alzata di spalle al reporter che chiedeva lumi sullo scoppio della bolla immobiliare, che i cantieri — se non era in grado di rendersene conto da solo — erano in funzione giorno e notte ininterrottamente. Come sempre.

Per curarsi metaforicamente le ferite però, una parte della cittadinanza puntava la fuoriserie d'importazione in direzione contraria rispetto ai lussi litoranei della Marina: imbucava la Oud Metha Road spalle all'Oceano, verso un surreale sobborgo di palazzine colorate suddiviso in nove distretti, il Dubai Healthcare City (Dhcc). La città della salute.

Più di 90 cliniche, due ospedali, 1.700 tra medici, ricercatori e infermieri, il Dhcc è l'ultima frontiera della megalomania del Golfo. Una volta terminato, intorno al 2015, diventerà il più grande polo sanitario del mondo, e le cifre appena elencate andranno moltiplicate per tre, forse per quattro. Dubai punta sulla salute quindi, credendo che il settore possa tramutarsi in un potentissimo volàno economico nell'immediato futuro. La scommessa è quella di attrarre i cosiddetti "pazienti senza frontiere", secondo la definizione di Josef Woodman, autore dell'omonimo libro sul fenomeno globale del turismo medico. Il comparto è letteralmente in esplosione: sono circa 3 milioni infatti, le persone che ogni anno attraversano il globo in cerca delle più svariate cure sanitarie. Il ventaglio è omnicomprensivo: dalla chirurgia estetica (meta preferita: Brasile), alle cure dentistiche (Sudafrica). Singapore (che si è costruita una solida reputazione su biotecnologie, staminali e oncologia), Thailandia (una sorta di hard-discount del bypass) e India (cardiologia e trattamenti per la fertilità) sono gli hub più gettonati, mentre Giordania (che promette costi inferiori del 75 per cento rispetto ai corrispettivi negli Stati Uniti) e Libano (ancora chirurgia plastica), sono all'avanguardia in Medio Oriente. Dubai vuole inserirsi in questo scacchiere geo-sanitario da miliardi di euro, nella convinzione — e l'abbiamo visto — che hotel con rubinetti d'oro, palme galleggianti e altre diavolerie ricreative non siano sufficienti a garantire prosperità infinita all'Emirato.

Però possono aiutare. E molto. La conferma ci arriva da Agnes Baum, una sorridente signora di Francoforte, che incontriamo nella sala d'attesa del palazzo 55, distretto 3 (al Dhcc ogni clinica è contrassegnata da un gigantesco numero appeso sulla facciata d'ingresso). È lo studio del dottor Sulaiman al-Habib, pediatra saudita laureato a Londra a capo di un vero e proprio impero spalmato tra l'emirato e Riyad: ospedali, cliniche, perfino un network di real estate. «Sono a Dubai per una vacanza-relax di dieci giorni — ammette Frau Baum — e ne approfitto per sottopormi al programma Well woman, un check-up completo studiato per donne nel fiore della maturità». Ci confessa che la dritta proviene dalla figlia Franziska, che lavora nel gruppo hoteliero di lusso Emaar (di proprietà dello sceicco di Dubai, Mohammed bin Rashid al-Maktoum) e vive qui da otto mesi. «È stata Franziska a prenotarmi la visita, e io ho accettato subito, anche perché costa il 40 per cento in meno che in Germania».

Vacanze di lusso — o di simil-lusso, se preferite —, prezzi vantaggiosi e alta qualità di standard medici. È questo il tris che Dubai mette sul piatto nell'affrontare il tavolo del turismo medico. Un tavolo a cui altri giocatori partono da posizioni consolidate: se un bypass costa negli Stati Uniti 130mila dollari, in India ne occorrono soltanto 10mila. E simili strutture dell'offerta sono presenti anche in Thailandia e Singapore. Anche la carta ricreativa è già in mano ad altri player: un esempio su tutti è quello sudafricano, dove sono addirittura arrivati a concepire il pacchetto Surgeons & Safari: resort di lusso, safari e bisturi. In apparenza una specie di cocktail composto da champagne, Coca-Cola e olio d'oliva. E invece funziona.

Dubai risponde con le proprie armi. Attraversando in macchina le ordinate strade del Dhcc, si vedono grandi strutture ancora in fase di ultimazione. Una è il fiore all'occhiello della città della salute emiratina: l'Harvard Medical School Dubai Center for Postgraduate Education and Research (Hmsdc), frutto dell'accordo esclusivo con il celebre ateneo americano. Diagnostica, prevenzione e trattamento della malattia sono i tre pilastri della ricerca all'Hmsdc, e chissà che il prossimo Dr. House non esca proprio da qui. «Gli standard e i criteri per l'ingresso come operatori sanitari al Dhcc sono elevatissimi — spiega a IL la dottoressa Ayesha Abdullah, Senior Vice President e vero capo operativo di tutto il centro —. Un organismo apposito, il Center for Healthcare Planning and Quality (Cpq), conduce severe e regolari ispezioni. Ecco perché, oltre all'Harvard Medical School, sono numerosi i partner internazionali associati: Boston University, Mayo Clinic, Moorfields Eye Hospital e German Heart Centre sono solo alcuni esempi. L'obiettivo che si era prefissato lo sceicco Al-Maktoum (che, come praticamente ogni cosa a Dubai, è l'ideatore del Dhcc), noi lo stiamo raggiungendo: un'offerta sanitaria dalla A alla Z con il meglio della tecnologia disponibile. Non vogliamo più che neanche un singolo cittadino dell'Emirato debba andarsi a cercare cure Oltreoceano, e al contempo vogliamo diventare una delle top-destination globali nel settore del turismo medico. I numeri ci stanno dando conforto: nel 2008 abbiamo ricevuto 90mila pazienti, nel 2009 abbiamo addirittura superato quota 220mila. E siamo solo alla fase uno del progetto».

Tradotto, significa che finora sono stati completati 380mila metri quadrati (quelli più legati alla parte clinica, chiamata "Medical Community"); manca il milione e 800mila metri quadrati della "Wellness Community": strutture per medicine tradizionali e alternative, ville e soluzioni residenziali per i degenti di lungo periodo, un centro multidisciplinare che presenterà gli ultimi ritrovati del campo benessere e, ovviamente, due resort Spa a sette stelle. Giusto per sottolineare che va bene la salute, ma non si deve mai rinunciare alle priorità.

 

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